Intervista al Comandante Paracadutisti Folgore, Rosario Castellano
Intervista a Rosario Castellano, Comandante Paracadutisti Folgore, presenti in Kosovo a salvaguardia dei beni artistici e monumentali.
OsservatorioinOpera - Comandante Castellano ci racconti cosa successe in Kosovo durante il suo intervento.
Mi chiamo Rosario Castellano, ero presente in Kosovo anche durante i giorni di violenza del 17,18 e 19 Marzo 2004 con l’incarico di Comandante della brigata dei paracadustisti Folgore che faceva capo a quella internazionale. Io dirigevo il mio contingente rispondendo ad ordini che venivano a me impartiti che erano gli stessi ai quali dovevano sottostare anche i contingenti Francese, Tedesco e Inglese.
Tutto iniziò perchè i kosovari trovarono i corpi di tre bambini annegati in un fiume. Con questa scusa, il giorno dopo e quindi il 17 marzo, mi sembra dalle 13 i kosovari si organizzarono e iniziarono a colpire 2 obiettivi principali: villaggi quindi le enclavi { a nord a Mitrovica e a sud in particolare a Prizren) e i monasteri, in particolare quelli vigilati dai tedeschi furono quasi tutti distrutti. Infatti a detta della stampa internazionale non è che questi si siano comportati troppo bene ed infatti subirono una sconfitta morale molto molto pesante. Questa questione colse tutti inaspettati, questo movimento di folle fu inaspettato. i kosovari adottavano questa tecnica cioè si radunavano con la capacità di concentrazione dai 500 ai 1000 in una decina di minuti, e quindi si presentavano in 500 davanti al monastero dicendoci proprio: “ O ve ne andate o peggio per voi perchè bruciamo il monastero” ed è quello che in pratica hanno fatto. Avendo un rapporto di forze completamente inferiore tutto si è fatto sin da subito complicato: 10 contro 1000, è impossibile reagire, ma i nostri erano paracadutisti e il paracadutista ha già una visione della vita più aggressiva, infatti la loro risposta fu: ”Va bene, vieni pure, butta giù il monastero e butta giù anche me, perchè non entri fino a quando ci sono io”. Il mio ordine, in quel momento, ai soldati presenti a difesa dei monasteri fu quello di invitarli a far fuoco in aria in maniera tale da intimidire e fare disperdere quindi la folla. La cosa funzionò da una parte, ma dall’altra no. Qualcuno si è spaventato e molti invece hanno iniziato a lanciare bottiglie molotov e a sparare alcuni colpi contro i nostri soldati. Il punto più critico era la zona sud, a Gjakova. A questo punto i nostri hanno sparato alle gambe degli albanesi, alla folla.
Questa è la prima reazione che ebbi perchè, diciamo, ci sono due fasi parallele da vedere. La prima importante è quella dei monasteri dove furono feriti diversi soldati ma in maniera lieve. Quindi ritirai tutte le truppe sparse sul terreno (ad es. quelle addette ai check-points) e le raggruppai nelle aree che necessitavano di più elementi, utilizzando quei soldati come riserve, che sarebbero dunque servite per quei poveracci ( i soldati) che si stavano difendendo da soli là, facendo arrivare quindi anche le munizioni e tutto quanto. Cosa succede però? Le riserve non riuscivano a entrare nel monastero perchè venivano bloccate dalla folla che aveva capito che questi militari erano in aggiunta di rinforzo agli altri per difendere il sito. La stessa riseva per riuscire ad entrare dovette adoperare misure un po’ più forti. In realtà, la cosa fu talmente improvvisa che nessuno riuscì a capire cosa stava succedendo e cosa questa folla volesse fare. Io stesso raggruppai i miei soldati davanti al monastero ma non capii immediatamente cosa fare. Ci fu una resitenza ad un attacco che durò più di dieci ore e fu quello l’unico sito dove diedi l’ordine di abbandonare perchè quando i soldati spararono i colpi alle gambe della folla, i più tornarono a casa e ritornarono nel giro di un’ora con fucili, munizioni, bombe a mano, armati fino ai denti e in numero ingigantito. Questa resistenza di dieci ore però lì spaventò e si avvicinarono più timidamente agli altri monasteri ed ebbi il vantaggio di riprendere l’iniziativa che mi era sfuggita di mano all’inizio. L’altra fase è quella anche importante che le stesse folle attaccarono anche i villaggi, quelle enclavi serbe sparse nel territorio a macchia di leopardo. Lì riuscii a mandare gli elicotteri per recuperare quei serbi che ci vivevano, ma le case furono bruciate e distrutte, in realtà non tutte, ma insomma, quelli non sono siti patrimoniali, si possono anche ricostruire. Quindi il soggetto da difendere erano gli abitanti. In un villaggio particolare a Biyelo Polje ci furono anche dei feriti. Il loro intento era quello di distruggere le enclavi e distruggere i monasteri. Il monastero in particolare perchè per loro è il simbolo della chiesa ortodossa. Quindi radere al suolo per fare spazio, tutto lo spazio per le loro tradizioni, eliminando questa minoranza.
Osservatorio in Opera - Qual è la Sua valutazione a riguardo della sensibiltà dei soldati nei confronti della missione di custodia come patrimonio della opere?
Rosario Castellano - Il militare riceve il compito di difendere un punto sensibile, che questo sia patrimonio artistico o deposito carburanti o deposito munizioni o luogo importante per la riuscita della manovra, non fa nessuna differenza. Il soldato prima di assolvere il suo compito deve sottoporsi a quattro mesi di preparazione per conoscere esattamente qual è il territorio e per sapaere in anticipo quale potrebbe essere la minaccia. Questa fase preparatoria si fa in patria, il soldato viene a conoscenza delle aree sensibili in cui sarà chiamato ad intervenire ( in primo luogo il suo accampamento). Quando noi siamo arrivati in kosovo la minaccia era a livello basso ed infatti si pensava addirittura di ridurre la consistenza del contingente presente perchè non del tutto necessario. Noi dipendiamo dai grossi comandi operativi, come la Nato, dunque le ultime decisioni spettano a loro. Furono loro a decidere, dopo il 17 marzo, di fermare il progetto di riduzione di forze in teatro, al contrario, rinforzando l’area. Dopo ventiquattro ore mi arrivò una riserva dall’Italia di altri 500 uomini. Quando si scatenò la violenza ci trovammo di fronte ad una folla. Il militare solitamente combatte contro gente che ha un’uniforma, in lughi che già prima si manifestano come centri di gravità di violenze e soprattutto sa, più o meno, in quale momento il suo avversario gioca la sua mossa. In quel 17 marzo le cose si svilupparono in modo diverso da questo. Ci fu un conflitto assimmetrico cioé l’avversario è vestito come gli pare, e agisce nel momento e nel luogo che gli pare, utilizzando strumenti e mezzi rudimentali. Sfruttarono soprattutto l’elemento sorpresa. Quando la mia riserva arrivò dall’Italia i giochi erano già finiti, esaurirono tutta la rabbia in 24 ore. Questi militari erano preparati in modo da fronteggiare anche questo tipo di conflitto arrivarono in ritardo. In ogni caso il soldato è preparato per l’ipotesi peggiore, anche quando il terreno è giudicato di basso livello e quindi egli si deve manifestare in modo non aggressivo con la popolazione, sa comunque che deve tenersi pronto a reagire per una minaccia, per una emergenza. E’ pronto perchè è addestrato. Si mandano soldati perchè sono quelle persone preparate per svolgere questa professione. In Kosovo sono dovuti passare da una fase statica ad una dinamica cambiando il loro atteggiamento da pacifico a guerriero. Hanno indossato giubbotto antiproiettili, elmetto, tutto quello che gli serviva, anche protezioni da armi chimiche, nucleari e battereologiche. Per un Monastero in particolare (quello di Decane) feci fare ai miei soldati la somma dei monaci residenti per preparare mezzi a suffcienza per poterli portar via in caso di pericolo. Ci siamo talmente presi cura di loro che al termine della nostra missione hanno acceso per noi un cero perenne, un cero che non si deve mai spegnere e quando si consuma deve esserne acceso un altro dalla stessa fiamma. Da quei giorni in poi questi monaci aprivano le porte a qualsiasi italiano mentre chiudevano le porte ai francesi, inglesi e tedeschi. Perché questi luoghi patrimoniali erano soggetti a visite anche di personale straniero di vario ordine e “razza”, militari e civili. Gli italiani erano accolti con tanto di tappeto mentre, ad esempio, con i tedeschi storcevano il naso, tanto che poi glielo dissero anche, che non era il caso che loro entrassero in un luogo sacro, perchè avevano abbandonato le posizioni ancor prima di essere in situazione di grave pericolo. Ci hanno anche conferito un merito, la Croce di San Sava di secondo livello, una decorazione al valore concessa dal Governo della Serbia alla nostra Brigata della Folgore. Vorrei sottolineare che il Governo Serbo questa decorazione non l’ha data neanche al proprio esercito. Poi accaddero dei movimenti importanti di truppe dell’esercito serbo durante quel periodo (i giorni dopo il 17 marzo), di cui non posso dire di più... questo ci venne dalle fonti intelligence mai divulgate per evitare che si creasse un conflitto internazionale a livello politico-diplomatico, e non era il caso in quel momento.
OinO - Quindi, ricapitolando, un soldato quando si mette a difendere una Chiesa o un Monastero in realtà non fa altro che eseguire gli ordini che gli vengono dati? Ordini che venivano da lei?
RC - Certo, che gli vengono dal Comandante, esatto.
OinO - Questo atteggiamento non è però da ritenersi consapevolezza del valore di quei Monasteri che stavano proteggendo...
RC - Certo, anche perchè non si spreca un soldato per un qualcosa che non abbia valore, in genere. Dato che il rapporto uomo terreno non è mai sufficiente, tutti i Comandanti si lamentano perchè non hanno mai forze abbastanza per assolvere il compito. Quindi avendo pochi uomini e pochi mezzi, il Comandante concentra tutto quelo che ha, tutte le risorse, dove sono ubicati i punti più critici. Non si spreca un soldato o una squadra o un’ unità per difendere un punto che non vale la pena di difendere, quindi secondo quel punto di vista che lei mi diceva, il soldato, intendo il soldato semplce, va sì a difendere il sito, ma lo studio di questo sito è stato fatto a monte. Le autorità militari presenti in loco avevano già individuato quali erano i monasteri da difendrere e in base allo studio fatto da loro abbiamo soltanto eseguito anche noi degli ordini e in questo caso anche io.
OinO - Tornando ai soldati, il 17 marzo, quando si sono trovati di fronte alla folla che li stava per aggredire, come hanno reagito? Come si sono comportati, come si sentivano? Erano freddamente pronti a tutto, anche a mettere a repentaglio le loro vite?
RC - No, per la verità la reazione fu immediata, secca, precisa. Lì sul terreno presero delle decisioni a sangue freddo. Addirittura per documentare scattarono anche parecchie fotografie e fecero anche dei filmati che poi la polizia internazionale presente sul posto ha voluto, e a seguito, diciamo, delle quali (foto e filmati) sono stati catturati quelli che erano i fomentatori di folla. Dopodichè, dopo 4 giorni, cambiai completamente politica nell’assolvere il mio compito: ridussi le forze in tutti i punti, le concentrai in quelle 4-5 aree e da lì in poi di notte andavo a fare il contollo casa per casa di quelle aree in cui erano presenti i rivoltosi o dove era stato visto qualcuno sospettato e siamo riusciti anche a concentrare una cosa come 800-850 uomini in un segmento di un chilometro. Abbiamo rastrellato un intero villaggio per due ore anche mediante l’utilizzo di elicotteri. Era una mia rezione per evitare che mi rompessero ancora le scatole dopo. Sapevano che “avevemo armati i cannoni”. Sapevano che eravamo pronti a rompergli le scatole e siamo infatti andati avanti a farlo per almeno 30 giorni da quel 17 marzo e insomma, non li ho lasciati respirare.
OinO - Se abbiamo ben capito, dopo quella data, tutti i soldati presenti sul posto hanno svolto la controffensiva?
RC - Sì, sì, ho dato il via alla reazione, non li facevo dormire la notte, li disturbavo, gli entravo nelle case... non posso dire di più...Trascorso questo mese hanno poi abbassato la cresta e insomma il profilo poi era bassissimo e questo tipo di risposta siamo stati gli unici ad averla adottata. Questo tipo di controffensiva massiccia viene dal fatto che avevo scoperto che agli albanesi piace dormire. Dalla mezzanotte in poi fino alle sei-sette di mattina questi dormono. Intanto per concentrare le forze, le toglievo dai presìdi che difendevano lasciandovi, poche persone e li concentravo in questi villaggi, quei siti che mi venivano indicati dall’Intelligence come aree critiche perchè in base ai loro studi erano ubicati lì armi, depositi di armi, munizioni etc. Riuscimmo così a recuperare le armi che avevano e in verità poche perchè alla fine non abbiamo mai individuato un deposito con cento armi, sempre una pistola, un fucile da caccia, fucile a pompa, un kalashnicov, baionette, bombe a mano, proiettili, razzi contro carro, tutte attive. Comunque un grande bottino mai. Loro sono organizzati molto bene sul terreno quindi, se mai c’era qualcosa, era ben nascosto e non sono riuscito a trovare nulla pur utilizzando i cani e gli interpreti. Non volevo conseguire un risultato comunque diretto, tutto questo, era fatto per ottenere un risultato indiretto. A dire la verità, venne il comandante delle forze Nato presente in teatro per capire, dato che poi facevamo i rapporti, come facevamo a concentrare lì 800 persone ( che in totale erano mille). Dice appunto questo: “Come fai a controllare tutto il territorio?”. Gli spiegai la tecnica e la fece adottare anche ai tedeschi e ai francesi. Però poi si calmò la tensione, ebbe un calo costante giornaliero, per cui la prima settimana dopo il 17 sembrava di vivere in un mondo irreale...non c’era più nessuno per strada, più nessuno camminava, passeggiava, nessuno. C’era il terrore, dopodiché piano piano riprese la vita normale; i serbi dopo una settimana vennero riportati nelle enclavi.
OinO - Tornando un momento al fatto del 17 marzo, la colpa di ciò che è accaduto, ci sembra di capire, che sia da attribuireall’Intelligence che non ha saputo prevenire o almeno avvertire di ciò che stava per succedere...
E insomma poi, questo intelligence chi è?
RC - Eh...sì ma però...mh...
OinO - E’ una domanda alla quale non può rispondere?
RC - No, più che altro se vi rispondo poi vi dovrei uccidere... (ride).
OinO - Essendo questa una brigata internazionale, questo Intelleigence lavorava per tutte?
RC - Esatto, la cosa però mancò a livello anche politico locale, cioè mancò dai massimi vertici della Nato a salvaguardia in vari territori in Europa. E’ mancata l’acquisizione di dati importantissimi a questo livello considerato basso ma che poi è diventato altissimo. Questa era una cosa che l’Intelligence poteva e doveva prevenire.